Traccia per il dibattito di domenica 19

Autonomia e territori in lotta

Dopo più di tre anni di presidio permanente e custodia popolare, di
recupero colturale e naturale di un territorio infine restituito alla
comunità dopo la spoliazione e il successivo abbandono perpetrati
dall’allora proprietario (la Provincia), il vento si sta finalmente
alzando ma non sembra venire nella nostra direzione.
Durante l’estate, la Città Metropolitana ha venduto tutti i beni
mobili della villa medicea e il parco macchine della s.r.l. posta in
liquidazione; inoltre, ha definito i termini per la presentazione delle
“dichiarazioni di interesse”, ovvero di proposte generiche di
acquisto della tenuta, intera o a pezzi. A fine novembre questa fase si
concluderà e verrà redatto un bando ad hoc per gli eventuali
compratori.
Il comitato di Mondeggi non si è dato nessuna veste formale e, con
questo pretesto, le istituzioni hanno respinto ogni richiesta di
confronto. Per la Città Metropolitana bisogna “ripristinare la
legalità”: ma stanno parlando della nostra o della loro?
Pensiamo che un incontro in questo momento così particolare per
Mondeggi possa essere di grande importanza, sia per le decisioni che
prenderemo sulle mobilitazioni dei prossimi mesi, sia per i legami che
si stanno stringendo su e intorno a questo territorio.

Per questo abbiamo deciso di invitare realtà che in qualche modo
sentiamo vicine per condividere alcune riflessioni.

Il primo tema sul quale vorremmo discutere riguarda la costruzione delle
comunità in lotta oggi e le modalità con le quali tali comunità
possono relazionarsi con le istituzioni.
Cosa vuol dire costruire comunità in un momento storico come questo
dove dominano individualismo e disgregazione sociale?
Come viviamo i nostri territori? Come comunichiamo l’emergenza delle
nostre lotte alla popolazione che li abita? Come intessiamo relazioni?
Come possiamo scrivere una narrazione a tante mani che sia comune ?
E inoltre, quale rapporto con le istituzioni proponiamo; come intendiamo
salvaguardare la nostra autonomia; cosa siamo disposti a negoziare?

Il secondo tema concerne invece il mutualismo e le alleanze, anche
nell’ottica della creazione di zone autonome tra campagne e città.
Senza le reti che la sostengono Mondeggi non sarebbe niente. Forse non
saremmo nemmeno più qui. Questo posto esiste e continua a crescere
grazie a tutte le persone e le realtà che ci hanno visitat* negli
ultimi 3 anni e hanno portato la loro solidarietà in tantissimi modi
differenti.
Anche noi ci siamo mossi e siamo andati a sostenere realtà affini in
altre parti d’Italia, d’Europa e anche del mondo.
Alla luce di ciò, cosa vuol dire costruire alleanze e come possiamo
sostenerci tra realtà vicine e lontane?
Come possiamo portare le lotte delle campagne e delle periferie in
città e viceversa?
Quali sono gli esempi concreti di alleanze che funzionano? Che strumenti
utilizzano?

Un terzo tema sul quale potrebbe svilupparsi il dibattito e che resta
sullo sfondo di tutte le domande finora elencate, nasce da un duplice
ordine di considerazioni ormai condivise da chiunque osservi la realtà
sociale contemporanea. Da un lato, l’incontestabile arretramento delle
condizioni materiali e relazionali di vita delle popolazioni,
dall’altro, la generale disillusione rispetto alle aspettative suscitate
dal modello egemone di convivenza umana e che si infrangono contro
l’evidente insostenibilità ecologica del sistema, il crollo del mito
sviluppista, la generalizzata asimmetria distributiva sul piano delle
risorse e delle opportunità, la liquidazione dei dispositivi di
controllo democratico e la promozione di un modello costituzionale reale
di post-democrazia, l’irrazionale onnipotenza dei circoli finanziari
globali, ecc.
In rapporto a tali evidenze – peraltro largamente riconosciute perfino
dagli analisti mainstream – che configurano una situazione di disagio e
di insoddisfazione assai marcati, occorre prendere atto della
paradossale latitanza della protesta sociale. Stante che la storia non
procede secondo linearità deterministiche e che la mobilitazione
ideologica dell’avversario è stata massiccia, va comunque sottolineato
che una situazione oggettivamente così ricettiva per le sollecitazioni
critiche, non si era data neppure tra i Sessanta e i Settanta.
Di fronte a tale spettacolare capacità di metabolizzazione mostrata
dall’esistente, è allora probabilmente necessario porsi qualche
domanda. Ad esempio, siamo sicuri che la tenuta dell’organizzazione
sociale dominante non sia agevolata dal fatto che non riusciamo a
proporre e ad avviare un progetto significativamente alternativo o,
detto altrimenti, che per svariati motivi accettiamo di scorazzare in
uno spazio marginale e recintato – una sorta di “area cani” assegnataci
dal sistema globale – gestibile ordinariamente dagli apparati periferici
di controllo? Siamo sicuri che non sia arrivato il momento di
de-territorializzarci e di saltare le barriere per fare altro,
effettivamente altro, ossia di esercitare una critica pratica non
neutralizzabile, non riconvertibile, non recuperabile agli interessi del
capitale? Pur considerando la diversità (talvolta anche pronunciata)
tra le varie situazioni e la vacuità delle trasposizioni meccaniche,
che spunti possiamo trarre in proposito dagli avvenimenti socio-politici
verificatisi un po’ dovunque negli ultimi 20/30 anni e segnatamente in
America Latina, Rojava, Grecia, Africa mediterranea? E da quelli
succedutisi dal dopoguerra ad oggi in Italia?